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08 Aprile 2021

Gian Francesco Barbieri detto Il Guercino (1591-1666)

Gian Francesco Barbieri ha conosciuto, al pari degli autentici artisti, le cose nella loro pienezza, nella loro inaspettata e miracolosa integralità e di questa visione ha potuto far partecipi gli altri uomini meno fortunati di lui.
Nato a Cento. l'8 febbraio 1591, da Andrea ed Elena Ghisellini, e battezzato nella Collegiata di S. Biagio; di modeste condizioni economiche sono i genitori. Sarà soprannominato il "Guercino", a causa di un incidente all'occhio destro, capitatogli quand'egli era ancora in culla; dice infatti l'abate Filippo Boni "... dormiente bambino in culla, uno strepito destollo, per cui tale convulsione sofferse che gli sconvolse il globo dell'occhio diritto, e fu detto Guercino".
A sei anni d'altro non si cura che di disegni. A circa otto anni dipinge, con gusto e con una certa perfezione, la Madonna della Ghiara di Reggio. Il padre, riconoscendo che il figlio ha le qualità che si richiedono per far bella figura nel mondo artistico, sceglie, per ammaestrarlo, dapprima, il pittore Bartolomeo Bertozzi, residente a Bastia di Modena, poi Paolo Zagnoni, abitante a Bologna: dai due modesti artisti il ragazzo apprende, naturalmente, poco.
A leggere mirabilmente nelle profondità dell'animo di Gian Francesco e a decidere ormai del suo destino è certamente il pittore centese Benedetto Gennari Seniore, la cui scuola il Guercino frequenta fin dal 1607: è difficile stabilire con esattezza quanto lavorasse con lui. Successivamente, per volontà dello stesso Gennari che avvertiva la propria insufficienza nell'ammaestrarlo, il Guercino esercita sempre più nobilmente e fruttuosamente le forze del suo ingegno presso un altro pittore centese, Gian Battista Cremonini, operante in quel periodo a Bologna e molto apprezzato nel capoluogo emiliano, tanto che il Lanzi affermerà che non v'era casa signorile "ove non si vedesse qualche chiaroscuro, qualche fregio di stanza, qualche camino, qualche vestibolo ornato dal Cremonini, senza dir di tanti lavori a fresco, ond'empiè le chiese".
S'illude il giovanotto di poter avere lungamente come guida il Cremonini; Andrea Barbieri, infatti, non ricco abbastanza, è costretto a richiamare il figlio a Cento, affidandolo nuovamente al Gennari: non per questo a Gian Francesco s'infiacchiscono le potenze necessarie per la creazione: anzi esegue opere che s'impongono subito all'altrui ammirazione, per cui un dotto religioso, superiore del Monastero dello Spirito Santo in Cento, padre Antonio Mirandola, comprendendo che il giovane pittore è un artista serio e di grande rispetto, e nutrendo giustamente per lui speranze di grandi fortune, l'aiuta e gli ottiene la stima e la benevolenza di tanti appassionati d'arte: inizierà così l'ascensione del Guercino verso quella fama che non avrà mai fine: in questa prima fase centese vengono fuori opere fresche, indimenticabili: le "Quattro virtù cardinali" per il Palazzo Comunale di Cento, il "Trionfo di tutti i Santí" per la Chiesa dello Spirito Santo (ora santuario della Rocca), l'"Annunciazione" e il "Padre Eterno" per la Chiesa dei Cappuccini di Cento, probabilmente il "S. Carlo" della Chiesa dei Servi, i "Due Angeli sorreggenti un Sudario" (Chiesa dei Servi), gli affreschi di Casa Provenzali (ora Benazzi) e il ritratto ad olio di Alberto Provenzali. Nel 1615 la fama del Guercino è soprattutto raccomandata all'esecuzione di "Tre Evangelisti", presentati all'ammirazione dei Bolognesi in occasione delle Rogazioni. Il Vescovo di Bologna, Alessandro Ludovisi, che ci tiene ad ospitare e proteggere gli artisti, rimane colpito di fronte alla perizia artistica del Centese, che vuole conoscere di persona; e pertanto ordina che il pittore sia accompagnato in fastosa carrozza da Cento a Bologna; le relazioni poi tra i due divengono veramente calde e familiari: il prelato non solo elogia i "Tre Evangelisti" (e ciò non è piccolo onore per un provinciale non ancora famoso), ma diventa suo grande ammiratore e cliente: infatti, dopo aver interpellato il noto pittore Ludovico Carracci sull'eventuale valore dei "Tre Evangelisti", li acquista ad una somma tre volte superiore a quella precedentemente richiesta dallo stesso Guercino. Tra il 1615 e il 1617 Cento resta ancora la zona aperta ad accogliere i lavori di Gian Francesco che, tra le altre cose, in diverse stanze della nota casa Pannini di Cento (ora Gallerani) tratta temi vari, aperti agli spazi del paesaggio e del cielo, soffusi di una tenerezza umana che si riflette anche nel colore e nella forma; egli cerca insomma una sognante eleganza nella dolcezza pura del modellato, chiuso nei profili lineari e nitidamente inciso. Questi affreschi (in parte donati alla Pinacoteca civica di Cento) sono anche un'interpretazione abile e sobria del paesaggio, una partecipazione ed un interesse per la vita centese . E a questo proposito scrive Rezio Buscaroli: "Specialmente in quelle scene campestri, il Guercino dice una parola assolutamente personale. Qui s'intende come egli, di una singolare precocità, di scarsissimi studi, fosse tratto ad occuparsi di paesaggio con quell'istinto pittorico saporito e passionato, che non ama e non ammette e non conosce alcun velo intellettuale. E benché si senta che i suoi biografi generalizzano una facile deduzione, allorché lo dicono intento da fanciullo a ritrarre paesi, bovi, cavalli, pastori e altre siffatte cose che egli copiava dal vero, dobbiamo ammettere, tuttavia, che, negli affreschi de' quali parliamo, si mostra sorretto da tanta libertà di osservazione. Basterebbe pensare non solo alle diversità di intonazione nei singoli riquadri, ma all'arditezza di alcuni problemi coloristici affrontati". Citiamo titoli di qualche affresco: "La mietitura" (Cento-Pinacoteca), "Il bagno nel fiume" (Cento-Pinacoteca), "Una strada di Cento", "Ragazzi che giocano davanti alla Chiesa di S. Biagio in Cento" (Venezia-Collezione privata). Altre manifestazioni del talento compositivo del Guercino si riscontrano in sale, volte di scale e cappe di camini di case centesi; purtroppo, però, la maggior parte di queste decorazioni è andata perduta o è rovinata.
Un posto a sè occupano gli affreschi della villa Giovannina, i quali riflettono sia scene ricavate da "La Gerusalemme liberata", da "L'Orlando Furioso" e da "Il Pastor Fido", sia putti che si ricollegano al Mantegna e al Correggio; di buona fattura sono anche i cavalli che si trovano in una delle varie stanze dell'ormai nota villa.
Altre creazioni di questo periodo giovanile centese sono: la "Pace" (ora alla Pinacoteca di Cento, prima nella casa Tagliavini), i due quadretti a tempera (sempre nella Pinacoteca centese): "Festa campestre" e "La rissa"; "La Vergine col Bambino, Angeli, S. Giuseppe, S. Agostino e S. Francesco" (Chiesa di Renazzo), "La Vergine, S. Pancrazio e una Santa" (Chiesa di Renazzo), "Un miracolo di S. Carlo Borromeo" (sempre nella Chiesa di Renazzo). Tutte queste opere sono indicative degli sviluppi del suo linguaggio pittorico, in particolare modo "di quel suo primo stile di bella e semplice naturalezza, con bene accordate tinte e con gran forza di chiaroscuro" (Jacopo Alessandro Calvi).
Intanto i suoi quadri attirano l'attenzione di un certo Cavalier Bartolomeo Fabri, il quale , sempre propenso ad appoggiare glí uomini di talento, gli concede due grandi stanze della sua abitazione, onde il pittore possa accogliere degnamente i numerosi giovani, che gli gravitano intorno da ogni parte (anche dall'estero) per apprendere l'impostazione di fondo delle forme e soprattutto dei colori. Continua intanto a ricevere numerose commissioni esegue un "S.Pietro che risuscita Tabita" per l'arcivescovo Ludovisi, un affresco per l'oratorio di S. Rocco (Bologna), una "Susanna" e un "Figliuol Prodigo". A proposito di simili opere il Carracci così si esprime il 25 ottobre 1617: "Qua (a Bologna) vi è un giovane di patria di Cento, che dipinge con somma felicità d'invenzione. P, gran disegnatore, è felicissimo coloritore: è mostro di natura, e miracolo di far stupire chi vede le sue opere. Non dico nulla: ei fa rimaner stupiti li primi pittori".
Portano l'impronta dell'emergente personalità del nostro artista altre quattro opere: "Cattedra di S. Pietro" (dipinto per la Chiesa di S. Biagio di Cento, ora nella Pinacoteca centese: in S. Biagio è stata posta una copia del famoso quadro, dovuta al pittore Alessandro Candi), "Marsia scorticato da Apollo" e "Resurrezione di Tabita" (tutti e due alla Galleria Pitti di Firenze) ed "Erminia che ritrova Tancredi ferito".
In seguito alle pressanti esortazioni del suo geniale protettore P. Mirandola, il Guercino riunisce 22 fogli di disegni e con questi, poco dopo, lo vediamo seguire a Venezia padre Pederzani, un religioso della stessa Congregazione di P. Mirandola; nella città lagunare i suoi disegni destano un interesse profondo in Jacopo Palma il Giovane, il quale, orgoglioso di conoscere il Guercino e di stringere con lui rapporti amichevoli, gli dà modo di poter ammirare l'arte veneta, accompagnandolo in varie parti. E di questo periodo la fresca e vivace opera "Erminia alla dimora del vecchio pastore" creata per il Duca di Mantova, Ferdinando Gonzaga, e largamente retribuita dallo stesso Duca, il quale, per testimoniare soddisfazione e ammirazione al Guercino, lo nomina suo cavaliere e gli riserva altri privilegi.
Dopo l'esperienza veneziana (1618), per cui nuovi stimoli visivi intervengono ad arricchire le sue composizioni, rientra a Cento e realizza per la chiesa di S. Pietro due belle tavole: "S. Pietro pentito" e "S. Bernardino da Siena" (ora tutte e due nella Pinacoteca centese); nella seconda si affollano fresche e vivaci formule dell'arte di Ludovico Carracci, soprattutto derivanti dall'opera "La Madonna col bambino, S. Giuseppe e S. Francesco" (la famosa "Carraccina" che si trova nella Pinacoteca centese).
Pare ovvio che il Guercino debba essere spinto a cercare altrove stimoli e nutrimenti. La vicina Ferrara che, sotto la signoria degli Estensi fino , alla fine del Cinquecento, era stata un centro felice per le lettere e le arti, non può non rappresentare per il giovane artista un preciso polo d'attrazione: e la cosa è ancor più invitante in quanto tra Cento e Ferrara esistono i rapporti più cordiali: pertanto, accogliendo l'invito del Cardinale legato Jacopo Serra, che lo vuole suo ospite a Ferrara, tra il 1619 e il 1620, e che non manca di onorarlo della sua fiducia, nominandolo perfino Cavaliere (8 dicembre 1620), il nostro artista s'impegna in alcune superbe creazioni: "Sansone e Dalila", "Figliuol Prodigo", "S. Sebastiano ".
Continua a lavorare senza risparmio al suo ritorno a Cento, realizzando subito per la Chiesa di S. Gregorio (Bologna) il "S. Guglielmo d'Aquitania" (ora alla Pinacoteca di Bologna), piacevolissimo per le tonalità dei suoi colori, la vivacità ed accurata precisione descrittiva.
Scrive in proposito il Marangoni: "La cosa che prima colpisce in questo quadro è appunto la sua atmosfera, come sparsa di un pulviscolo luminoso che sommerge e bagna ogni cosa, rendendo ariose le ombre più profonde...
Il Guercino si afferma in questa opera uno dei maggiori e più originali maestri del rinnovamento chiaroscurale".
Dopo l'esecuzione di un'altra celebre opera per la Chiesa di S. Pietro di Cento: "S. Francesco, S. Benedetto, e un angelo che suona la viola" (che ora si trova al museo di Louvre), il Guercino dietro invito del papa Gregorio XV (il già cardinale Ludovisi, suo amico e protettore) si sposta a Roma (1621-1623), dove scopre le tante cose belle di cui il passato ha onorato la città eterna e ci dà alcune opere che restano fondamentali nella sua storia: le decorazioni ad affresco del Casino Ludovisi (come "L'aurora", il "Giorno", la "Notte" i "Giochi degli Amorini", gli "Scherzi d'acqua in giardino") e la "Sepoltura di Santa Petronilla" (grande pala destinata alla Basilica Vaticana ed ora alla Galleria Capitolina).
Il Pontefice è contentissimo della meravigliosa attività del Guercino e non manca di mostrargli, in varie occasioni, la sua profonda amicizia e di onorarlo della sua fiducia (tra l'altro retribuisce largamente la "Sepoltura di Santa Petronilla" e dona al pittore una collana d'oro); avrebbe forse voluto che dipingesse la "Loggia della Benedizione", ma la morte (7 luglio 1623) glielo impedisce. A Roma il Centese ha ormai destato con le sue opere un interesse profondo in tanti: il cardinale Scipione Borghese gli commissiona il "Trionfo di S. Crisogono" per la chiesa omonima in Trastevere (ora si trova nella Lancaster House di Londra); sempre del periodo romano sono il dipinto di "S. Maria Maddalena genuflessa e piangente" (ora alla Pinacoteca Vaticana) e l'incantevole opera "Et in Arcadia ego" (Galleria Nazionale d'Arte di Roma).
Ritorna, con piacere, a Cento, nel 1623, e gli vengono commissionati diversi lavori soprattutto di carattere religioso. Nella cerchia degli estimatori si contano figure di primo piano, tra cui il re d'Inghilterra, il quale apprezza moltissimo il quadro "Semiramide" e vorrebbe a Londra il Guercino. Delle altre opere eseguite tra il 1623 e il 1626, ricordiamo: l'"Assunzione della Vergine", ordinata dai marchesi Tanari (ora nel Museo dell'Hermitage di Leningrado), la "Presentazione della Vergine al Tempio", lavoro tanto caro all'autore, un "S. Lorenzo" per la Chiesa del Seminario di Finale Emilia e un "Redentore in croce, con la Vergine, la Maddalena, S. Giovanni, S. Prospero ed angeli" per il Santuario della Madonna della Ghiara di Reggio.
Sempre vigile e attivo, ricco di una pittura che sollecita la nostra più intima sensibilità, il Guercino percorre, senza intralci o rallentamenti, una carriera splendida: il fatto che la sua opera pittorica sia concordemente ammirata e si affermi un po' ovunque, induce nel 1626 il vescovo di Piacenza a rivolgersi a lui perchè continui la non facile fatica del Morazzone, morto in quello stesso anno: si tratta del grande complesso decorativo della Cupola del Duomo piacentino; il Guercino soggiorna pertanto a Piacenza (1626-1627) e conduce a termine il lavoro in modo da meritare l'altissimo elogio del critico Lanzi: ha una ricompensa di 1900 scudi d'argento.
Tornato a Cento, crea altri pezzi di , bravura: una delle sue più meditate composizioni sacre è il "Cristo risorto che appare alla Madre" (ora alla Pinacoteca di Cento): il quadro entusiasmerà lo stesso Goethe di passaggio per Cento; e l'Algarotti scriverà: "La soavità e la forza delle tinte è pari al sommo rilievo del quadro e all'amore con cui è condotto... Non ho mai veduto due figure meglio campeggiare in un quadro, né il lume serrato e la macchia del Guercino non caddero forse mai più in acconcio che in questo".
Accenti di rara efficacia espressiva si riscontrano pure nel "S. Lorenzo", quadro eseguito nel 1629 per il Duomo di Ferrara, nella "Vergine che regge il bambino in piedi su una tavola" (Pinacoteca di Cento) e nel "Pianto sul Cristo morto" (Galleria nazionale di Londra).
In riferimento a quest’ultimo scrive Anna Ottani: "La luce piove dal fondale incupito sopra quel corpo abbandonato e patetico, toccando accenti di straordinaria evidenza nell'invenzione degli angeli silenziosamente partecipi".
Il Guercino affronta ogni cosa e si dedica con ugual disinvoltura sia al motivo profano che a quello religioso: per una sala del palazzo Sampieri di Bologna disegna, nel soffitto, "Ercole e Anteo"; per la Regina di Francia la "Morte di Didone", e per la Chiesa centese del S.mo Rosario, la cui costruzione inizia nel 1633 una grande pala raffigurante "Cristo in Croce, la Madonna, la Maddalena e Giovanni", un "S. Giovanni Battista", un "S. Francesco d'Assisi", il "Padre Eterno" e la "Vergine Assunta".
Le delicate immagini della Chiesa del Rosario (secondo l'Algarotti la facciata stessa della Chiesa sarebbe stata disegnata dal Guercino) sono considerate tra gli esempi più alti, per indagine psicologica, qualità straordinaria della pennellata, per le stesure cromatiche calate entro una precisa orditura formale.
L'impegno pittorico del Guercino sulla suddetta Chiesa mostra chiaramente com'egli sentisse profondamente le realtà religiose (della stessa Compagnia del S.mo Rosario era, fin dal 1619, "Priore" e tale carica ricopriva durante il periodo della costruzione della Chiesa); non desta quindi meraviglia se in tale edificio sacro egli vorrà avere una sua cappella che, appunto, adornerà con suoi dipinti, con statue e dorature.
Nel 1633 Guercino è ritrattista alla corte estense di Modena: riescono così egregiamente i rittatti del Duca Francesco I e della moglie Maria Farnese che gli vien proposto di restare a Corte: il Guercino preferisce invece la sua Cento.
Lasciata Modena,"compì un S. Andrea Corsino per la città di Brescia, una S. Barbara per la parrocchia di Castelfranco, un S. Francesco per S. Giovanni in Persiceto, ed un altro per i Cappuccini di Piacenza. Da Lione di Francia gli fu chiesto un Cristo in atto di mostrare la gloria del Paradiso a S. Teresa, collocato poscia nella Chiesa de' Carmelitani Scalzi di quella città. La chiesa di Nonantola ha un S. Rocco, e quella de' Cappuccini di Parma un beato Felice. Per la Chiesa di S. Romualdo di Ravenna espresse il Santo Titolare ed ai monaci di S. Benedetto di Ferrara un S. Michele arcangelo ... " (Baruffaldi). Vasta veramente è la sua produzione in questi anni: egli raggiunge con opere di non facile inventiva e vibranti d'intensa vitalità psicologica (ricordiamo solo il "Martirio di S. Maurelio" (1634), Ferrara, Pinacoteca) una così singolare potenza nel campo dell'arte da suscitare ammirazione in tante parti d'Europa: nel 1639 lo stesso re di Francia (come precedentemente quello d'Inghilterra), lo inviterà alla sua corte con la promessa di notevoli vantaggi economici: il Guercino, attaccatissimo sempre alla sua cittadina, rifiuterà la proposta. "Affíancato da una équipe di collaboratori ed aiuti, riuscì ad assolvere un numero d'impegni sempre crescente, che la mano scrupolosa di Paolo Antonio venne diligentemente annotando su un quaderno di pagamenti davvero prezioso per datare "ad annum" la sua produzione" (Anna Ottani). Nel 1641 si spegne Guido Reni a Bologna, dove godeva fama d'impareggiabile maestro; la stessa ammirazione incondizionata riserveranno i Bolognesi a partire dal 1643 al Guercino che si trasferirà nel capoluogo emiliano il 6 settembre 1642 sia "per ereditare il ruolo preminente in seno alla locale scuola pittorica (dopo la morte del Reni)" (Anna Ottani) sia per sentirsi in un luogo più protetto durante la guerra tra Odoardo Farnese, Duca di Parma, e Urbano VIII: è ospitato per alcuni mesi, col fratello Paolo Antonio e il nipote Giovan Francesco Mucci, nel palazzo del conte Filippo Aldrovandi: si sdebita intanto col conte eseguendo il ritratto del suo figlioletto Ercole ed assolvendo altre piccole mansioni. Nel 1644, i fratelli Barbieri acquisteranno, in via S. Alò, un ampio e signorile edificio (costerà 17.000 lire bolognesi) dove si sistemeranno ed apriranno una scuola; quindici anni dopo ne acquisteranno un altro, vicino al primo, per incrementare l'avviatissimo studio di pittura. Tra le prime eccezionali opere del periodo bolognese citiamo: "S. Francesco in preghiera" (Chiesa di S. Giovanni in Monte di Bologna) il "Cristo morto" per la Chiesa di S. Pietro in Cento (ora nella Pinacoteca centese), "l'Annunciazione" (Chiesa di S. Maria Maggiore di Pieve di Cento) la "Circoncisione di Cristo" (Pinacoteca di Lione) e il "S. Bruno" (Pinacoteca di Bologna). In quest'ultima tela, composta nel 1647, "sopravvive la sua vena, più dignitosa e robusta" (Anna Ottani). E a proposito del "Cristo morto" scrive Nefta Barbanti Grimaldi: " Il verismo impressionante di questo corpo morto si fonde perfettamente con il transumano del volto, inanellato dalle chiome prolisse e di espressione calma e solenne".
Il 27 giugno 1649 muore Paolo Antonio, che aveva certamente preso il primo posto nel cuore del fratello Gian Francesco: non potevano stare l’uno senza l'altro, avevano in comune gioie, gusti, pensieri e arte. Per giunta Paolo Antonio, sacrificando in gran parte la sua professione artistica s'interessava di ogni più minuta cosa riguardante la famiglia rendendo in tal modo più agevole e sereno il lavoro del grande fratello. Per questa perdita dunque pare al Guercino che tutto sia morto intorno a lui: gli sembra che gli abbiano reciso l’anima; la casa è diventata un supplizio, il mondo senza di lui, è vuoto, deserto, senza speranza. Nulla più lo consola, tutto gli fa orrore. Da questa crisi pessimista lo salva il Duca di Modena, Francesco 1, il quale lo fa prelevare, con la propria carrozza, dall'abitazione bolognese e lo tiene con se a corte insieme ad altri artisti amici del Guercino, tra cui Bartolomeo Gennari, Angiolo Michele Colonna e Agostino Metelli. Con un soggiorno alla Corta Estense, prima a Modena poi a Sassuolo il Guercino riesce a vincere l'ossessione dell’angoscia, causata dalla scomparsa del fratello; ritorna a Bologna e riprende il lavoro: adesso il suo confidente, colui che sostituisce Paolo Antonio anche nella parte amministrativa è il cognato Ercole Gennari, marito di sua sorella Lucia.
Ora il Barbieri riscatta e sublima la vita dolorosa con la luce e la ricchezza di alcune felicissime opere, tra cui il "S. Giovanni Battista" per la Chiesa del Rosario di Cento (attualmente in Pinacoteca) e (per lo stesso edificio sacro) un "S. Girolamo" (attualmente nella Chiesa di S. Tommaso d'Aquino a Parigi); stupendo riesce pure il dipinto raffigurante "Loth e le figlie": tale soggetto viene subito ripetuto (con varianti naturalmente) due volte per accontentare altri committenti. Secondo lo storiografo centese Gaetano, Atti, il Guercino s'allontana un'altra volta da Bologna e soggiorna per qualche tempo, con il discepolo Giovan Francesco Nagli (il Centino), a Rimini, dove lasciò alcuni saggi delle forze del suo ingegno. A Bologna, "la sua casa, in via S. Alò, era meta di visite frequenti da parte di personaggi ragguardevoli, poichè le sue opere erano ricercate e considerate fra le cose migliori che la pittura offrisse in quel tempo. La mole del lavoro era tale che non gli consentiva più di dedicare molto tempo all'insegnamento, come gli era stato possibile fare nella ben più frequentata scuola di Cento. Permetteva però che alcuni giovani fossero ammessi al suo studio per osservare la sua tecnica e chiedere le spiegazioni che ritenevano utili alla conoscenza dell'arte" (Autori vari, "Gian Francesco Barbieri, detto il Guercino" Cento, 1966).
Opere di notevole importanza eseguite dopo il 1657 sono: "Il ripudio di Agar" (quadro che si trova nella pinacoteca di Brera a Milano e tanto ammirato da Lord Byron e da Stendhal) "Santa Palazia", d'incantata e purissima bellezza, "Beato Bernardo Tolomei" ("condotto con molta diligenza e vaghezza di colori"), "S. Tommaso d'Aquino", stupendo per il "tocco vigoroso e la naturalezza". Nel 1661 il Guercino è colpito da una grave pleurite; a fatica si riprende, può ancora creare opere, suscitarci, come una volta, di vasti consensi per la nitidezza ed eleganza delle immagini, dall'espressione viva, energica, animate e vivificate da una ricca fantasia.
Si spegnerà il 22 dicembre 1666. Esempio mirabile di elette virtù religiose e civili, di straordinario talento artistico, raccoglie completa la stima e l'affetto dei suoi concittadini che, unanimemente lo compiangono. Vien sepolto accanto al fratello Paolo Antonio, nella Chiesa di S. Salvatore di Bologna.
A lui possono giustamente applicarsi le parole di un famoso scrittore francese: "Insensibile al successo, Indifferente alla ricchezza, egli preferiva a tutto lo studio, la pace, l'amicizia, la virtù e s'occupava in silenzio non del bene che gli poteva venire, ma di quello che poteva fare".
Umile, riservato, laborioso, religiosissimo (ascoltava ogni giorno la S. Messa, si accostava spesso ai Sacramenti, faceva celebrare molte funzioni religiose e volle essere sepolto col saio di cappuccino), benchè onorato da papi, cardinali, re (Cristina di Svezia gli fece visita a Bologna, in via S. Alò, il 27 novembre 1655), principi, duchi, si compiacque, a bello studio, di occultare il tesoro del suo sapere circondandosi, di solito, di persone semplici, come i suoi allievi, che amava realmente come figli.
A renderlo accetto a tanti gli giovarono le doti dell'ingegno, non meno che la bontà dell'animo.
Presso i suoi mecenati scoprì il mondo della ricchezza e non ne fu però abbacinato; l'austerità di costume, che gli era abituale, lo salvò da qualsiasi caduta.
Guidarono le sue azioni di artista e di maestro non l'ambizione o l'interesse, ma solo nobili propositi e generosi sentimenti, talvolta maturati attraverso dure esperienze e perseguiti sempre con tenacia e sacrificio ammirabili.
La sua, dunque, fu una vita priva di grandi avvenimenti sia per volontà di fortuna, sia per naturale e cosciente desiderio di tranquillità. 

Si ringrazia il Prof. Guido Vancini che ha cortesemente fornito la documentazione utilizzata.

 

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